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Social Fame, adolescenza, social media e disturbi alimentari tutto quello che c'è da sapere

Social Fame, adolescenza, social media e disturbi alimentari tutto quello che c'è da sapere

Tra instafood e fitmania le mode che non aiutano a crescere sani

02 ottobre 2023, 15:45

di A.M.

ANSACheck

Una adolescente foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una adolescente foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una adolescente foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Si minimizza o si demonizza il ruolo dei social e del web sui giovani. Il mondo degli adulti e della scuola, non può però ignorare che per milioni di ragazzi nel mondo, il virtuale è parte del processo di costruzione del loro reale, e dovremmo scendere a patti con questo, se vogliamo riappropriarci del compito più importante affidato a una società: quello di educare i propri giovani a diventare ciò che sono: dicono Laura Dalla Ragione e Raffaela Vanzetta , autrici del libro Social Fame (Il Pensiero scientifico editore) che indaga sull'intreccio tra adolescenza, social media e disturbi alimentari.
Parlare con i ragazzi del nostro tempo, significa entrare nel loro mondo, che è sì virtuale, ma per loro terribilmente reale. Sicuramente si nascondono meglio con la tecnologia e la loro idea del mondo è molto diversa dalla nostra. Non guardano la televisione, leggono poco i giornali, la rete è il loro contatto con il mondo. Eppure non sembrano affatto così superficiali e privi di passioni. Sono invece pervasi di quel desiderio di amore, di riconoscimento che è proprio di tutti gli adolescenti, in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Nei loro sms, nei social, nei blog ci sono simboli: cuoricini, tvb, lacrime, ali spezzate, fiori e farfalle, segni di emozioni che nascondono molto più di quello che rivelano. Ed ecco quindi  un progetto che nasce su Instagram, per parlare alla generazione social con l’obiettivo di sensibilizzare le generazioni più giovani sui disturbi del comportamento alimentare. Si chiama Peso Positivo ed è interamente dedicato al contrasto dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), di cui i più diffusi sono anoressia, bulimia e binge eating. Responsabile del progetto è Claudia Grasso, a dare voce su IG sono due ragazze poco più che ventenni, Giulia Mir e Beatrice Mauri. Il materiale è vagliato e approvato dal Comitato Tecnico Scientifico altamente qualificato, composto da un team di 10 tra dottoresse, psicologhe, psicoterapeute, biologhe e nutrizioniste.

I numeri in Italia dei disturbi del comportamento alimentare

In Italia più di tre milioni di persone soffrono di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (DAN), che costituiscono la seconda causa di morte negli adolescenti tra 12 e 17 anni, dopo gli incidenti stradali. Queste forme epocali di disagio psichico incarnano, in modo letterale, gli imperativi categorici della società postmoderna che interpella gli individui attraverso i canali privilegiati del consumo e dell’immagine. Per ogni 100 ragazze in età adolescenziale, 10 soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come anoressia e bulimia, le altre in manifestazioni cliniche transitorie e incomplete. Sono ormai molto rilevanti anche i numeri dei pazienti di sesso maschile, la cui percentuale, nella fascia tra i 12 e 17 anni, si attesta intorno al 20% della popolazione ammalata.  E si è abbassata l’età dell’insorgenza di tutti i disordini del comportamento alimentare, spostandosi intorno ai 14-15 anni, con la comparsa del disturbo in bambine di 10-11 anni. Dati 2021 e sottostimati perchè esiste una larga parte di pazienti che non arriva alle cure, sia per l’assenza di motivazione al trattamento, sia perché in molte regioni italiane non sono presenti strutture specializzate. Dati inoltre legati alla pandemia visto che da un anno all'altro l'incremento è stato del 30%.

I fattori socio-culturali che favoriscono i disturbi: magrezza è valore

I  fattori socio-culturali sono implicati nel favorire lo sviluppo di questi disturbi e in particolare per il ruolo esercitato dalla nostra cultura che associa la magrezza alla bellezza e al valore personale. In particolare le nuove tecnologie, strumento quotidiano nella vita dei giovanissimi e non solo, hanno avuto un impatto fortissimo nella diffusione dei comportamenti a rischio e delle forme conclamate dei disturbi alimentari. In particolare, poiché uno dei fondamenti della psicopatologia dei DAN è una gravissima alterazione dello schema corporeo, l’uso (o abuso) di tecnologie dove l’immagine viene utilizzata per comunicare, mandare messaggi, creare consenso e imitazione (influencer), può determinare la diffusione di messaggi negativi e fuorvianti. Il quadro clinico rimanda ad un’ideazione intensa sul cibo e le forme corporee; l’uso della restrizione, del vomito e dell’iperattività fisica; una selettività estrema con un repertorio limitato di alimenti, un’insoddisfazione per il proprio aspetto che si trasforma in ossessione, intorno alla quale ruota tutto il mondo interno ed esterno.
Nel caso delle ragazze e dei ragazzi più giovani, infatti, può accadere che vengano attratti dai fit-influencer sui social e inizino a seguirli e ad allenarsi chiusi nella loro cameretta, anche per ore, senza che nessuno se ne accorga. I ragazzi crescono così pensando di poter far arrivare il corpo ad avere le stesse forme dell’influencer di turno; parlando con loro ci si rende conto che non sono consapevoli del fatto che il lavoro dei suddetti influencer è proprio il loro “corpo”, e che tutta la loro giornata gira intorno a questo. Il confronto continuo con un corpo che ha poco a che fare con un corpo naturale, porta chi lo desidera a sentirsi sempre in difetto. Altro aspetto è quello dell’età: ormai seguono influencer adulte anche bambine di 9-10 anni, che ancora non conoscono il loro corpo sviluppato e che quindi maturano una forte paura del cambiamento che può accadere in loro con la crescita, perché potrebbero non avere quel corpo tanto desiderato.
Quello che si fatica a comprendere, soprattutto da parte dei ragazzi più giovani, è che ciò che appare della vita privata dell’influencer è, in realtà, puramente costruito. Il messaggio che passa, e che riferiscono i ragazzi, è il seguente: l’influencer ha una vita meravigliosa proprio grazie al suo stile di vita (inteso anche come alimentazione e fitness) e al suo corpo perfetto. Visto che essi tendono a condividere le loro abitudini rispetto a outfit, make-up, beauty, sport e alimentazione (ad esempio anche con i famosi “what I eat in a day”), i ragazzi arrivano a pensare che imitandoli in tutti questi aspetti possono arrivare ad avere una vita simile alla loro. La deriva pericolosa di un tale fenomeno è naturalmente il rischio che un “what I eat in a day” in regime restrittivo possa fungere da fattore scatenante per una persona a rischio di sviluppo di un disturbo alimentare. Ancora più insidiosi sono i video delle persone che già soffrono di questi disturbi e, non essendone consapevoli, condividendo ciò che mangiano, commentando ciò che evitano e cosa pensano riguardo al cibo, possono influenzare in maniera molto importante giovani vulnerabili.

Tra instafood e fitmania

Lo scopo delle piattaforme social è quello di aumentare il tempo che gli utenti passano su di esse, perché, essendo un servizio gratuito, è l’utente stesso il vero prodotto, ovvero il tempo di permanenza nella piattaforma e la fruizione dei contenuti. Per raggiungere tale obiettivo si utilizzano dei sofisticati algoritmi tra i quali tecniche di Clustering (ovvero “raggruppamento”) e Recommender system (ovvero sistema di raccomandazione dei contenuti da consumare), che suggeriscono contenuti simili e affini a quelli già visti, amplificando (non ampliando) gli interessi, cercando di “cavalcare” anche gli stati d’animo che suscita ciò che si sta visualizzando. Il sistema si allena continuamente apprendendo dai contenuti scelti o scartati (ovvero non visualizzati o abbandonati velocemente per passare immediatamente al successivo). Anche se esiste la possibilità di segnalare i profili esplicitamente collegati a contenuti a rischio, come i disturbi alimentari, è stato rilevato che più si cerca di limitarli più si trovano nuove strategie per creare community pro-ana e pro-mia. E, come abbiamo visto, ad essere ancora più subdolamente pericolosi, sono profili di influencer famosi, di nutrizionisti e personal trainer, app che dichiarano fini salutistici (e tali sono considerate), nuove frontiere della tecnologia come gli smartwatch.
Come fare a fronteggiare tutto questo? Da un lato, sicuramente, vi è l’aspetto educativo per i giovani all’utilizzo consapevole dei social media che dovrebbe essere sempre di più favorito dalle famiglie in primis, e promosso dalle istituzioni scolastiche e socio-sanitarie. Le famiglie, oltre a educare, dovrebbero essere più consapevoli della  pericolosità che si cela dietro al semplice utilizzo degli smartphone e dei social media, anche rispetto a contenuti ritenuti non allarmanti, soprattutto nei ragazzi più giovani. Dall’altro lato, una seria riflessione deve essere condotta anche dagli specialisti della nutrizione e del fitness riguardo la comunicazione online e sui social. Se il social media marketing è ormai una realtà dalla quale lo specialista libero professionista non può più prescindere, bisogna iniziare a pensarlo non solo da un punto di vista di visibilità e profitti, ma anche dal punto di vista etico: aspetti che, purtroppo, non vanno quasi mai d’accordo. Lo specialista è da solo dietro allo schermo, ma deve essere consapevole che dall’altra parte ci sono potenzialmente migliaia (fino ad arrivare a centinaia di migliaia o anche milioni) di persone che possono visualizzare i contenuti che pubblica e ne possono essere influenzati. Se lo specialista si pone come esperto nel campo della salute, è responsabile di tutte quelle persone.
Il segreto, come sempre, è ampliare lo sguardo e tornare a vedere l’insieme: come nella persona anche con il cibo. Passare dal microscopico all’insieme, dal micronutriente al concetto di “pasto”. Pasto, dal greco, significa “fornire nutrimento”: anche attraverso i social dovremmo tornare a promuove il giusto nutrimento per il corpo, per la mente e per la vita sociale, che torni ad essere sempre più quella reale, non virtuale.

Contrastare gli ideali di corpo uniformi e per un benessere che va oltre il giudizio estetico

I disturbi alimentari sono, considerati culture-bound syndromes, cioè disturbi determinati dalla cultura specifica di alcuni Paesi. Non si manifestano ovunque al mondo: mentre sono molto diffusi nei Paesi industrializzati, sono in costante aumento nei Paesi dell’Est europeo, seguendo il ritmo della loro occidentalizzazione, e sono perlopiù assenti nei Paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e del Sudamerica.
Uno dei fattori preponderanti, tra quelli socioculturali, è certamente l’esaltazione della magrezza femminile e del corpo muscoloso maschile. È qui importante sottolineare che la magrezza non è solo simbolo di bellezza: nella società occidentale, infatti, la magrezza ha un valore ben più ampio e profondo, in quanto rappresentazione fisica di autocontrollo, disciplina, determinazione e salute. La salute nell’immaginario collettivo sta diventando sempre più responsabilità individuale. Ormai conosciamo le regole del vivere sano, quindi, chi si ammala deve aver sbagliato qualcosa, mangiato male, fumato, bevuto troppo, preso freddo, fatto poco movimento. Le persone in sovrappeso sono accusate di pigrizia e scarsa forza di volontà, quindi, se si ammalano, è colpa loro. La magrezza invece raffigura il vivere corretto. Chi è magra, ha fatto tutto giusto. Non a caso le donne di successo sono magre. Contrastare queste convinzioni è un’impresa ardua. L’intento della prevenzione è proprio quello di diffondere una maggiore accettazione della diversità e della varietà, contrastare gli ideali di corpo uniformi e promuovere un’idea di benessere che vada al di là del giudizio estetico. Quest’idea però si scontra con un mondo nel quale è importante presentare alla società un corpo senza difetti, metterlo in mostra sui social, in spiaggia o in palestra, sottoporlo al giudizio altrui, metterlo a confronto. Un corpo che per le donne deve essere tonico e scattante, ma anche debole, bisognoso di protezione e leggero, per gli uomini invece deve essere alto, forte, capace di proteggere, ma anche di distruggere e di incutere timore. I corpi vengono messi anche continuamente nella condizione di competere e confrontarsi tra loro.

Anche se può apparire paradossale, tra i fattori di rischio bisogna considerare anche lo sport

Anche se può apparire paradossale, tra i fattori di rischio bisogna considerare anche lo sport. Se per la maggior parte delle persone lo sport ha infatti un’influenza positiva sul benessere e sulla socialità, e molti attingono autostima ed energia positiva da una sana competitività, vedendo il fisico atletico come un piacevole effetto secondario, per alcuni il fisico tonico e atletico è diventato il primario obiettivo da perseguire attraverso l’attività fisica. È in quest’ottica che negli ultimi 20 anni sono spuntate ovunque palestre di fitness, luoghi di culto del corpo, che pubblicizzano l’ottimizzazione del proprio corpo come investimento nel proprio futuro. Il caso delle ginnaste vittime di abusi psicologici ha fatto scalpore. Un altro fattore predisponente è poi la (de)contestualizzazione del cibo. Il cibo è e resta prevalentemente un piacere per la maggior parte delle persone, da assumere quando il corpo dà segnali di fame, durante gli orari dei pasti, concedendosi una pausa assieme a persone care. C’è però un’industria alimentare potente e impetuosa che ci propone cibo sempre più diversificato, “senza” un sacco di cose: senza glutine, senza lattosio, povero di sodio, senza grassi, senza olio di palma, senza conservanti, coloranti, acidificanti, trasmettendo così l’idea che il cibo potrebbe essere pericoloso, velenoso, causa di intolleranze e allergie, di malesseri fisici di vario tipo, di insonnia, gonfiore, emicranie. Chi presta attenzione alla propria salute, rinuncia a molti alimenti considerati dannosi, dai latticini ai carboidrati, con o senza glutine, gli zuccheri e i grassi saturi.

Le diete e le regole basilari della prevenzione sui disturbi alimentari

Il fondamentale ruolo della scuola

Non è possibile ridurre a un fattore solo la causa di un disturbo alimentare in un adolescente: un forte disagio, una sofferenza personale, un’esperienza traumatica, fragilità caratteriali o difficoltà familiari non possono essere evitate con un intervento a scuola. Quello che la scuola può fare, dicono le studiose nel libro Social Fame,  piuttosto è dare ai giovani strumenti per capire le proprie emozioni e inquadrarle in un contesto più ampio, sociale e non solo personale, e frenare quei fattori sociali che rendono fertile il terreno su cui un disagio o una fragilità personale si possono trasformare in un disturbo anche grave.
Invitare un esperto a raccontare del proprio lavoro fa parte di quegli interventi psicoeducativi didattici, che aumentano la prevenzione attraverso la realtà virtuale la conoscenza, ma non hanno alcun effetto sui cambiamenti delle attitudini o dei comportamenti dei giovani e che, anzi, possono risultare inconsapevolmente pericolosi per ragazze o ragazzi già potenzialmente a rischio. 
Vista l’importanza che i social media hanno nella vita dei giovani, non è più possibile pensare di fare prevenzione senza tenere conto di quel mondo, immergervisi, imparare a conoscerlo e ad usarlo. Una conoscenza approfondita dell’uso dei social media attualmente aiuta ad entrare in relazione coi giovani e a dare loro gli strumenti per imparare a gestirne l’uso con più consapevolezza e attenzione. 
Già studi fatti prima dell’invasione dei social media avevano constatato che i programmi più efficaci erano quelli che creavano una dissonanza cognitiva sull’interiorizzazione dell’ideale di magrezza, l’insoddisfazione corporea, i comportamenti dietetici e gli stati d’animo negativi
L’interiorizzazione dell’ideale di magrezza e muscolosità porta all’insoddisfazione per il proprio corpo non corrispondente a questi ideali e aumenta quindi il rischio di impegnarsi in diete non salutari e comportamenti alimentari disordinati. L’arrivo dei social ha aggiunto un mondo in più, sul quale focalizzare l’attenzione. Negli ultimi 6-7 anni diversi studi hanno valutato l’impatto dell’uso abituale di social media o dell’esposizione a contenuti legati all’immagine corporea sulle scelte alimentari in giovani adulti sani (18-30 anni). I risultati sono sempre molto evidenti: una maggiore esposizione ai social media in termini di tempo e contenuti legati al corpo è associata a una maggiore insoddisfazione corporea, alla riduzione dell’alimentazione, alla sovralimentazione e alla scelta acritica di cibi sani. Aspirare a un aspetto fisico ideale è quasi sempre irrealistico e difficile da raggiungere per la maggior parte delle persone è importante dunque, anche in workshop a scuola, lavorare su autostima e immagine corporea arrivando a riconoscere che l’aspetto fisico si basa su opinioni e gusti che mutano nel tempo. Poi ci si concentra sui media, su come le immagini vengono manipolate e su quali messaggi subliminali esse trasmettono. I paragoni sono un fatto inevitabile a scuola, quando si passa tanto tempo con i propri coetanei. Accompagnare i ragazzi a riflettere sull’effetto dei paragoni, sia a livello emotivo che comportamentale e anche su quali pensieri vengono creati dai paragoni. Attraverso esercizi ben preparati, i ragazzi vengono invitati a inventare risposte alternative o pensieri alternativi a quelli del paragone e spinti ad esercitarsi in coppia o in gruppo a non usare paragoni. È questione di allenamento per cambiare il proprio copione interno, che spinge automaticamente al paragone, a volte serve l’aiuto degli altri. Quindi, alla fine della sessione, i ragazzi sono invitati a sottolineare la propria unicità e a darsi delle regole per riuscire a frenare insieme l’uso dei paragoni. Molto simile al discorso sui paragoni è anche il discorso sul cosiddetto bodytalk, i discorsi sul fisico. Ci sono vari suggerimenti : scrivere un codice di condotta per la scuola, stendere il copione di un video o di uno spettacolo teatrale da mettere in scena a scuola, attaccare messaggi sugli specchi dei bagni della scuola, progettare una campagna sui social e tante altre. L’importante è agire insieme, fare sì che diventi una battaglia collettiva. Nella nostra società il dolore è diventato un affare privato, del quale vergognarsi un po’. Se sono insoddisfatta del mio corpo, è colpa mia che non so piacermi. Quindi il programma mira anche alla consapevolezza che certi dolori sono comuni, perché plasmati dalla società, che dobbiamo parlarne, confrontarci. Questo confronto alleggerisce il dolore individuale e aiuta ad essere più indulgenti con sé stessi. L’obiettivo comune resta quello di rafforzare l’autostima e il rispetto nei confronti degli altri e di sé stessi, sia nel mondo reale che nel mondo virtuale, di aumentare la capacità critica e di dare strumenti alle persone, affinché sappiano gestire le proprie fragilità ed emozioni soprattutto nei momenti di crisi.

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