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C'era un tempo la seria editoria scientifica anglosassone

C'era un tempo la seria editoria scientifica anglosassone

De Fiore, editore e autore demolisce il settore in cui opera

TRIESTE, 14 aprile 2024, 14:37

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Francesco De Filippo) LUCA DE FIORE, SUL PUBBLICARE IN MEDICINA (IL PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE; PP.182; 18 EURO) "Non possiamo permetterci di rinunciare a credere che una rivoluzione sia possibile". Luca De Fiore dopo 180 pagine in cui svela il declino di rigore e incorruttibilità nell' editoria scientifica a favore di un approccio economico-finanziario finalizzato a carriere e successo, chiude il suo libro con una speranza.
    Indica sei idee per ristrutturare un settore di cui rivela pressioni lobbistiche, sciatteria e manager senza scrupoli al posto di esperti e di editori responsabili. La scrupolosa cultura anglosassone è stata spazzata via e i valori superstiti sono denaro e pubblicazioni.
    Al vertice della Pensiero Scientifico Editore, quindi dall'interno, De Fiore analizza ogni aspetto di questo mondo, "appoggiandosi sulle spalle di giganti" come Richard Smith, ex redattore capo del British Medical Journal (BMJ) autore del libro cult sull'editoria scientifica che firma una illuminante "Presentazione".
    Il denaro. Son finiti i tempi in cui, come disse un editor inglese, "il profitto ideale è un cent all'anno" cioè non andare in perdita e investire tutto per le migliori riviste. Oggi l' editoria scientifica sviluppa un fatturato di 30 miliardi di dollari (il 40% negli Usa) conta duemila editori e tecnici di cui il 60% è costituito da editori commerciali a scopo di lucro, e solo il 10 dalle university press anglosassoni di cui il famoso cent di guadagno.
    Le pubblicazioni. I periodici del settore sono 36mila (di cui 13mila non più attivi ma i cui contenuti sono accessibili). Nel 2022 sono stati pubblicati 5,14 milioni di articoli: una infodemia per il dg di Oms, Tedros Ghebreyesus, eccesso di informazioni. Nel novembre 2020 sul Covid-19 è stato pubblicato un articolo ogni tre minuti. Nel 2006 un direttore di istituto di ricerca firmò un articolo ogni 4 giorni! Considerando che un ricercatore impiega 100 ore per scrivere un articolo scientifico...
    Si pubblica (inutilmente) così tanto "per alimentare i curricula dei professionisti" a fini di carriera, dice De Fiore.
    Più articoli, più punteggio. Higgs - quello del bosone, per intenderci - disse che avendo pubblicato poco era una "vergogna" per il suo dipartimento, oggi non troverebbe lavoro nel mondo accademico. Ma ciò che preoccupa è il cambio di ruolo: case editrici e riviste accademiche non sono più al servizio di chi legge ma di chi scrive. Si spezzettano (salami slicing) le ricerche così da pubblicare più articoli sullo stesso tema; non c'è tempo per attendere i mesi che le buone riviste impiegano per valutare un lavoro, allora da un lato queste si moltiplicano in sotto segmenti, dall'altro si pubblica a pagamento (da 150 a 9.900 dollari) su riviste minori e spregiudicate. Poi si saccheggiano i dati in rete grazie all' open access, si intessono insane relazioni con industrie del settore. Il 70% dei ricercatori con sede in Europa afferma di essere stato coinvolto negli ultimi tre anni in progetti che riportavano autori che non avevano contribuito in modo sufficiente al lavoro. Per Di Fiore occorre rivedere anche le regole della (costosa) peer review (revisione tra pari) e dell'impact factor. Senza contare paper mill (articoli fabbricati), predatory journal (riviste predatorie) e, infine, tutte le incognite dell'intelligenza artificiale.
   

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