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Liliana Cavani: "Io, il Leone d'oro e la mia seconda giovinezza"

Liliana Cavani: "Io, il Leone d'oro e la mia seconda giovinezza"

Regista all'ANSA dagli Usa, 'Il tempo? E' un mio collaboratore'

ROMA, 28 marzo 2023, 09:49

di Alessandra Magliaro

ANSACheck

A Liliana Cavani Leone d 'Oro della Mostra di Venezia - RIPRODUZIONE RISERVATA

A Liliana Cavani Leone d 'Oro della Mostra di Venezia - RIPRODUZIONE RISERVATA
A Liliana Cavani Leone d 'Oro della Mostra di Venezia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Leone d'oro alla carriera? "E' stata una bellissima notizia del mio risveglio" dice Liliana Cavani raggiunta dall'ANSA in America dove partecipa ad una tre giorni di studi che l'Università di Princeton le dedica. La regista, 90 anni compiuti il 12 gennaio e festeggiati con tutti gli onori al ministero della Cultura con tanti amici e colleghi, da Marco Bellocchio a Paolo Virzì, Pupi Avati, Paolo Sorrentino, Michele Placido, ha terminato il suo nuovo film L'ORDINE DEL TEMPO, basato sul libro del fisico Carlo Rovelli (Adelphi) e interpretato da Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Valentina Cervi e Richard Sammel che con ogni probabilità sarà presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia (30 agosto - 9 settembre). "Una seconda giovinezza", dice e poi racconta: "Con Venezia ho un grande legame".
    "Vinsi nel 1965 con il documentario PHILIPPE PÈTAIN. PROCESSO A VICHY", dice la regista che dopo il Centro sperimentale di cinematografia ha realizzato all'inizio della carriera documentari che hanno fatto la storia, come quello meraviglioso sulla DONNA NELLA RESISTENZA, premiato con il Leone di San Marco per il documentario. "Non lo ritirai neppure - confessa - ero in vacanza molto lontano e stavo bene dove ero".
    Ancora un documentario, LE CLARISSE, nel 2012, fuori concorso a Venezia, girato in un monastero di clausura, vinse il premio Pasinetti. "Fu una grande emozione perché mai avrei potuto immaginare la Sala Grande piena di giovani ad applaudire", sottolinea la regista che con i giovani da sempre ha un legame speciale come dimostra la sua terza volta a Princeton a dialogare con gli studenti, a parlare della trilogia di FRANCESCO e del PORTIERE DI NOTTE, tra le sue opere più famose nel mondo. "Tornai a Venezia con il primo FRANCESCO del '66 con Lou Castel e Riccardo Cucciolla: ho un ricordo speciale per vari motivi, il primo perché mi ospitarono nel meraviglioso hotel Des Bains, il secondo perché mi accostarono a Roberto Rossellini che presentava La presa del potere da parte di Luigi XIV e dicevano 'il maestro e la giovane promessa' e questo mi fece conoscere un bel po'".
    Il legame con i giovani? "Forse perché, pur partendo da storie personali, tematiche che mi stanno a cuore, i miei film hanno sempre avuto un orizzonte più largo e universale, capace di interessare in tanti". Anche il suo ultimo film, dal libro di Rovelli, è personale? "Sì, con il tempo io ci collaboro - ironizza lucida l'autrice -, è molto utile averlo presente, io non lo dimentico mai".
    A Venezia ha presentato in concorso nel 1968 GALILEO, il primo film di finzione e in cui ha indagato sul conflitto tra scienza e religione, poi ancora nel '72 fuori concorso L'OSPITE, IL GIOCO DI RIPLEY nel 2002 con John Malkovich tra i suoi più grandi successi e nel 2018 al Lido il riconoscimento del premio Bresson, prima regista. Un altro ricordo emozionante è alla Quinzaine a Cannes per I CANNIBALI, un film fortemente legato all'aria del suo tempo, il 1969: "Fu visto lì da intellettuali americani, tra cui Susan Sontag, che poi lo vollero a New York per una proiezione al Lincoln Center dove ci fu una strepitosa accoglienza". Forte il legame con l'America per la regista di Carpi: da Princeton, dove tiene un seminario sul suo cinema coordinato dalla docente e critico Gaetana Marrone-Puglia, prosegue poi per New York con una serie di incontri, proiezioni e tavole rotonde in collaborazione con l'Istituto italiano di Cultura. "L'America mi ha fatto conoscere Mickey Rourke - il Francesco del 1989 presentato a Cannes, ndr - una delle persone più belle e mai banali incontrate nella mia vita", conclude con affetto.
“Protagonista tra i più emblematici del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta, con un lavoro che in seguito attraversa oltre sessant’anni di storia dello spettacolo, Liliana Cavani - ha detto il direttore della Mostra del cinema di Venezia Alberto Barbera - è un’artista polivalente capace di frequentare la televisione, il teatro e la musica lirica con il medesimo spirito non convenzionale, e la stessa inquietudine intellettuale che hanno reso celebri i suoi film. Il suo è sempre stato un pensiero anticonformista, libero da preconcetti ideologici e svincolato da condizionamenti di sorta, mosso dall'urgenza della ricerca continua di una verità celata nelle parti più nascoste e misteriose dell’animo umano, fino ai confini della spiritualità. I personaggi dei suoi film sono calati in un contesto storico che testimonia una tensione esistenziale verso il cambiamento, giovani che cercano risposte a quesiti importanti, soggetti complessi e problematici nei quali si riflette l’irrisolto conflitto fra individuo e società. Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, anti-dogmatico, non allineato, coraggioso nell’affrontare anche i più impegnativi tabù, estraneo alle mode, refrattario ai compromessi e agli opportunismi produttivi, aperto invece a una fertile ambiguità nei confronti dei personaggi e delle situazioni messe in scena. Una feconda lezione che è insieme di estetica e di etica, da parte di una protagonista del nostro cinema, che ne definisce la perenne modernità”.

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