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“Il tesoro del frate”, la serafica narrazione di un recente passato

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“Il tesoro del frate”, la serafica narrazione di un recente passato

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Responsabilità editoriale di NEW LIFE BOOK

Il romanzo storico di Giovanni Rossi che racconta la guerra dagli occhi dei frati marchigiani

29 febbraio 2024, 14:21

NEW LIFE BOOK

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Giovanni Rossi trae ispirazione dalla storia della sua famiglia, da persone ed eventi realmente accaduti, per dipingere un insolito quadro sulla guerra che forse ha suscitato il maggior numero di racconti e testimonianze scritte ad oggi: la Seconda Guerra Mondiale. Insolito perché non viene descritto dagli occhi dei soldati al fronte né dei cari che li aspettano a casa, vivendo un’austera realtà di privazioni, flebili speranze e impossibili rinunce: i protagonisti di questo romanzo storico sono i frati del monastero di San Liberato, nelle Marche, in particolare Padre Sigismondo Damiani che, nel primo capitolo della sua opera l’autore ci presenta come lo zio di sua nonna: è il 24 maggio 2018 e Giovanni Rossi racconta dal suo punto di vista il ritrovamento di vecchie foto di famiglia, tra cui una che raffigura Padre Sigismondo intento a camminare tra i corpi di soldati caduti in battaglia, durante la Prima Guerra Mondiale, per dare l’estrema unzione a chi non avesse ancora esalato l’ultimo respiro.

Dal secondo capitolo la narrazione è affidata a Padre Sigismondo e alla gentilezza delle parole dei frati, delle loro prediche e della vita frugale affidata alla provvidenza, corale e serafica, che descrive con grazia e semplicità il terribile periodo storico in cui si svolge la loro storia, nel decennio tra il 1934 e il 1944, senza mai perdere la speranza e la fede che permeano le pagine di quest’opera dal primo all’ultimo capitolo. Pubblicato dal Gruppo Albatros il Filo, Il tesoro del frate” è un romanzo di fede, guerra e meravigliosa umanità che incanta e conforta i suoi lettori, cullati dalla serenità della narrazione anche attraverso la brutalità della guerra che, seppur distante dall’eremo di San Liberato, inevitabilmente raggiunge anche le sue porte.

“Quella sera, il Gruppo Partigiano 201, formato da uomini provenienti da vari parti d’Italia, da polacchi e slavi, passando presso il convento, fecero irruzione nel refettorio mentre i frati erano riuniti per cenare. Il loro capo con aria sarcastica disse: «Buonasera fratelli. Scusateci per non aver avvertito del nostro arrivo». E dopo una breve pausa, durante la quale fece un sorriso mentre guardava le facce sbalordite dei frati, continuò: «Quando Gesù disse di dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, non intendeva che dovevano prenotare. Giusto?». Padre Sigismondo, alzandosi da tavola, replicò: «Accomodatevi dove potete. Questa è la dimora del Signore e di chi si rimette alla sua Misericordia. Pertanto, bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato»”, così l’autore descrive il particolare incontro e la comunione di due mondi così diversi: quello reazionario e scaltro dei partigiani in lotta per la liberazione e quello contemplativo, parsimonioso e compassionevole dei frati votati a Dio. La fermezza delle parole di Padre Sigismondo rispecchiano la calma forza della sua fede, la sua prontezza nel guidare i suoi confratelli quando vacillano, per timore o paura, verso la via che porta a Dio “Quella più bella ma anche quella più tortuosa”, come spiega lui stesso, dimostrando in tutte le occasioni che lo richiedano la saldezza dei suoi ideali. Dai suoi occhi il lettore guarda gli ultimi momenti della Seconda Guerra Mondiale, che ormai volge al termine ma che ancora richiede scelte difficili e instilla ferocia nei carnefici e pericolosi dubbi tra le vittime.

Una preziosa testimonianza che affonda le sue radici nella realtà, custodita dai ricordi della famiglia di Giovanni Rossi e rielaborata dalla sua penna, infine affidata alle pagine di quest’opera: una lettura piacevole e intensamente emotiva che racconta il valore del perdono senza spiegarlo, ma mostrandolo nelle parole gentili e nei saldi valori manifestati dai protagonisti della sua opera.

“Perdoniamoli come il nostro Signore sulla Croce perdonò i suoi carnefici. Pace e bene…”, insegna Padre Sigismondo a suo nipote, Padre Quinto, anche lui protagonista delle vicende raccontate.

Nell’ultima parte del romanzo la storia torna al 2018, al momento in cui l’autore e protagonista di questi capitoli ritrova le foto della sua famiglia e indaga sulla natura del “tesoro” del frate, un lascito di padre Sigismondo giunto fino ai giorni presenti, un insegnamento per chi sia disposto ad ascoltare e una prova della sua incrollabile fede.

È una storia che spinge alla riflessione, delicata nonostante i suoi temi, riesce a ispirare conforto anche nei momenti di inevitabile violenza che la guerra trascina fino a quegli idilliaci e incontaminati paesaggi che l’autore racconta semplicità e precisione. Molte delle testimonianze di quel periodo storico sono sopravvissute fino a oggi soltanto nei racconti tramandati oralmente da padre in figlio, altre sono state tristemente dimenticate e altre ancora sono state scritte assumendo il valore e il compito di custodire quei preziosi ricordi, “Il tesoro del frate” è una di queste storie, importante non soltanto per ciò che racconta, ma per come lo fa: vestendo il saio di un frate e interpretando il suo punto di vista, l’autore racconta di impegno, dedizione, perdono e fede salda anche e soprattutto di fronte al conflitto. Mantenere salde le proprie convinzioni è ancor più difficile e più importante nel momento in cui queste vengono messe così estremamente alla prova: conservare la propria umanità, gentilezza e carità quando la guerra bussa alle porte non è compito facile, come non manca di dimostrare Padre Sigismondo ai suoi confratelli, ai partigiani che accoglie nel monastero e ai tedeschi che vengono a cercarli.

“Questa era una fase di incertezza, di confusione e di attesa dei futuri eventi, in cui l’ordine non era ancora stato ristabilito e molte forze in campo non erano del tutto gestite, ma lasciate libere di agire, poiché un ordinamento democratico non si era ancora costituito”, racconta l’autore di quando la guerra è quasi giunta al termine: “Qualcuno pensava di potersi arrogare il diritto di sapere e conoscere profondamente tutti gli eventi accaduti, di poter trarre deduzioni e produrre azioni correttive, spesso superficiali ed inutili, a volte adottate per il semplice gusto malefico di compierle. Invece proprio in questi momenti ci si dovrebbe fermare per far diradare la nebbia prima di riprendere il cammino.”

Quasi un secolo più tardi, la sua storia può ancora essere fonte di ispirazione e conforto nel conflittuale panorama odierno, grazie alla narrazione di Giovanni Rossi che con la sua opera celebra il ricordo di un uomo retto, una guida morale e spirituale che indica la via da seguire a chi l’ha smarrita, illuminandola come un faro con la sua fede: la calorosa e semplice fede di un frate e la sua vita frugale ma non austera né severa, ma comprensiva e accogliente, in grado di dissipare la nebbia col suo tocco delicato. “Il tesoro del frate” custodisce il ricordo e offre ai suoi lettori e il valore della compassione e del perdono sempre mantenendo l’aggraziata leggerezza dei suoi toni, che non indugiano sulla violenza e sulle tragedie di quegli anni difficili, non disperando mai ma rinnovando sempre la speranza e la pietà.

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