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In Valle Aurina, alla scoperta della montagna autentica

In Valle Aurina, alla scoperta della montagna autentica

Storie dalle giovani generazioni custodi del territorio tra erbe, formaggi, bagni nella foresta

08 luglio 2023, 11:19

testo e foto di Alessandra Magliaro

ANSACheck

la chiesetta di Santo Spirito a Casere, nel cuore del Parco Naturale delle Vedrette di Ries-Aurina - RIPRODUZIONE RISERVATA

la chiesetta di Santo Spirito a  Casere, nel cuore del Parco Naturale delle Vedrette di Ries-Aurina - RIPRODUZIONE RISERVATA
la chiesetta di Santo Spirito a Casere, nel cuore del Parco Naturale delle Vedrette di Ries-Aurina - RIPRODUZIONE RISERVATA

E' una delle valli sulle Alpi che non ha valichi se non a piedi. E' stata nei secoli una valle di transito molto importante, con il Passo dei Tauri a 2600 metri, ma la vicina autostrada del  Brennero aperta a metà anni '70 ha finito per fermarne il tempo e così la Valle Aurina, che poco dopo Brunico guarda alla Vetta d'Italia, il punto più a nord dell'Alto Adige è un po' magica anche perchè cieca e non la si può percorrere per andare da nessuna altra parte almeno con le auto. Sarà per questo che è tra le meno note di tutte le Alpi e una di quelle in cui la cultura della montagna è legata a tradizioni e vissuta al di là del turismo. E sarà per questo che anche le nuove generazioni sono attenti e custodi di quel territorio che pure in chiave contemporanea viene abitato seguendo antiche usanze o addirittura riportandole in vita. 
Alcune storie sono esemplari di questa vocazione montanara, di convivenza con la natura che non vuole essere aggressiva come in altre valli qui intorno. Storie che raccontano di medicina di erbe, di persone poverissime, di condivisione tra uomini e animali.
Anneres  è la regina delle erbe, ti accompagna nel campi dalle parti del maso abitato dalla sua famiglia da 700 anni e che da qualche decennio è anche un farmhotel di lusso con la cucina eccellente del ristorante Arcana, il Moosmair a Acereto, una frazione di Campo Tures (Bz). Non è un campo coltivato, ma un semplice prato come ne calpestiamo tanti nelle passeggiate in montagna senza sapere che nasconde una gran quantità di piante selvatiche, spontanee ed edibili come cerfoglio, cumino, pimpinella, piantaggine.


Anneres le va a prendere ogni giorno e le porta in cucina per costruirci i menù in cui le erbe sono protagoniste: il gelato al meliloto , il filetto di manzo cotto nel fieno, risotto al pino mugo, tiramisù ai germogli di abete, zuppa alle 9 erbe. Nell'hotel di famiglia dove all'ingresso è appesa una foto con i primi turisti arrivati da queste parti negli anni '60 c'è anche un piccolo museo realizzato con tutto quello che nei secoli questo maso ha raccolto, un family museum che racconta di una civiltà contadina, di tempi durissimi, di fatica con la terra ma anche di crescita sociale nel rispetto della natura e del territorio, uno spazio che racconta evoluzioni nelle abitudini, negli attrezzi agricoli, persino nell'abbigliamento, un excursus storico sull'abitare la montagna e anche sulla sapienza contadina tramandata, quella conoscenza delle erbe selvatiche ad esempio che è diventata oggi il cavallo di battaglia di questa struttura. E poi ci sono i ritratti di famiglia che la proprietà ha scelto di esporre anche solo per far capire da dove si è partiti. Anneres  ha creato nella zona anche un sentiero delle erbe dove racconta e spiega questa arcaica conoscenza che ancora oggi, ci dice, è la sua medicina.

 


Come lei  ma ancor più radicale è che dell'etica della montagna ha fatto il suo stile di vita. Ci racconta di una infanzia poverissima al maso di famiglia dove abitava con i genitori e le sorelle, due mucche e due maiali "e questo era tutto ossia niente, eravamo talmente poveri - dice - che le mie sorelle dovevano andare a messa in orari diversi alle 7 e alle 9 del mattino della domenica per scambiarsi l'unico vestito buono che avevano. I miei genitori ci hanno insegnato il rispetto per la natura". Andare con lui a fare il bagno nella foresta -  una moda importata dal Giappone, salutare e benefica, decisamente detox - è una esperienza che arricchisce. "Tutto nel bosco è vita, è ecosistema", racconta mentre ci fa vedere il gioco di brina del Mantello della Signora,  una pianta erbacea perenne resistente alle basse temperature, a foglia larga. Da queste parti i ruscelli sono potabili, l'acqua è abbondante (in Valle Aurina la neve non manca mai anzi abbonda), camminare a piedi nudi prima nell'acqua gelida che scorre giù dalle tante vette tutte vicine ai 3mila metri e poi camminando nel manto vellutato del sottobosco è una esperienza di mindfulness con tutti i sensi in ascolto della ntaura. Ha qualcosa di spirituale la passeggiata alla antica chiesetta del Santo Spirito, una delle mete di pellegrinaggio più suggestive dell'Alto Adige, la più antica costruita proprio in fondo alla Valle Aurina dai minatori di Predoi per chi usava il Passo dei Tauri  per arrivare nel Pinzgau oppure a Salisburgo.  A Casere, in questo punto da cartolina c'è il panorama di tutte le vette dei ghiacciai, 80 cime che superano i 3mila metri, nel cuore del Parco Naturale delle Vedrette di Ries-Aurina.
Stefan Fauster da qualche anno con la moglie Ruth Innerhofer e la sua famiglia sperimenta uno stile di vita e di ospitalità etica: tutto è coltivato biologico e di prossimità, la carne e i formaggi vengono da filiere controllate fino in fondo e conosciute da loro, anche il caffè è da commercio equo e solidale. La sua soddisfazione è di gestire un hotel, il Drumlerhof a Campo Tures, quasi zero waste, quasi Co2 free, dove tutto è orientato all'autoproduzione energetica e alimentare, in un'ottica di economia circolare, di energia pulita, di bene comune dove famiglia e ospiti sono insieme in una accoglienza che è anche condivisione. "Anni fa mi prendevano per pazzo - ci racconta Stefan -  ora non sono più solo anche se resto un caso di studio! Per me abitare la montagna è vivere così, nel modo più consapevole ed etico possibile".

 


Una montagna che può essere durissima perchè da queste parti, una terra ricca di rame che veniva estratto dai minatori - la miniera del Predoi è stata chiusa solo nel 1971 - si viveva in povertà al punto da sviluppare l'arte del tombolo (sì non è solo appannaggio di Venezia!) per commercializzare quei lavori di pizzo fatti a mano anche all'estero come unica fonte di sostentamento quando la miniera ha cominciato ad andare in crisi. Oggi alla miniera di Predoi si entra per visitare il museo che racconta la vita dei minatori e cosa estraevano dalle viscere della montagna ma anche per fare esperienze di benessere nel centro climatico di Predoi che è dentro la miniera a 1100 metri all’interno della montagna dove si arriva con un trenino. Qui, racconta il dott. Vincenzo di Spazio, il particolare microclima aiuta chi ha patologie respiratorie, asma e allergie. Nella galleria, dove la temperatura è costante intorno ai 9 gradi, l’umidità dell’aria è prossima al grado di saturazione, le particelle in sospensione e gli allergeni presenti si legano all’aria e precipitano sulle pareti di roccia umida, rendendo l’aria estremamente pura: si sta lì un paio d'ore ad attivare il respiro e a rilassarsi avendo già i  primi effetti benefici. In alcuni periodi dell'anno si possono fare anche dei fantastici bagni sonori orchestrati da Klaus Unterthiner con campane tibetane, gong e altri strumenti che con suoni e luci delicati aiutano a rallentare il ritmo: nel ventre della terra niente onde elettromagnetiche, niente pollini, niente polveri sottili, niente stress. Se ci si lascia andare è il relax profondo.


Un'altra storia di nuova generazione che porta avanti una montagna slow ed etica è quella di Günther Volgger , il giovane gestore del caseificio Goasroscht che con 40 caprette di razza brown allevate curando il benessere animale realizza formaggi caprini di grande qualità e una produzione (sempre in zona Campo Tures, bandiera arancione del Touring Club) così piccola da poter essere distribuita solo nello spaccio aziendale della sua azienda nata dalla passione di famiglia ma con un'attività messa in piedi proprio da questo giovane. Ogni forma una storia e una tradizione, la più importante delle quali è quella del Graukase, il formaggio grigio così chiamato non per il colore, che invece è bianco, ma per essere di scarto nei masi, realizzato tradizionalmente con il latte vaccino scremato avanzato dopo la produzione del burro e dunque proteico e a basso contenuto di grassi. "Tutto quello che si solito non va bene in un formaggio - ci spiega  Martin Pircher, che da queste parti si è inventato il festival del formaggio a Campo Tures diventato negli anni un appuntamento anche internazionale con piccoli produttori caseari - nel graukase  è la caratterizzazione. Un esempio? Si sbriciola. La tradizione della Valle Aurina lo vuole condito con olio evo, aceto e cipolle crude tagliate sottili oppure pressato e fritto gustato con insalata di crauti crudi tagliata sottilissima oppure nei tipici canederli di pane".
A settembre sul Graukase si fa anche una manifestazione dedicata, mentre a marzo 2024 si terrà la 15/a edizione del festival del formaggio, una pionieristica manifestazione per amatori diventata fiera con marchio Slow Food e l'appoggio dell'Ahrntal, l'associazione turistica Valle Aurina. Slow, come la montagna di Valle Aurina da vivere in lentezza e autenticità.

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