Dalla Cassazione una "storica
sentenza" sui militari che si sono ammalati dopo essere stati
esposti in missione in teatri operativi bellici, luoghi di
stoccaggio munizionamento, poligoni di tiro: "non si può
pretendere dalle vittime la prova del nesso causale tra
esposizione ad agenti nocivi e infermità contratte". Lo
sostiene l'Associazione delle vittime del dovere, secondo cui
"la Cassazione ha chiarito che nella particolare materia
assistenziale in tema - popolarmente riferibile all'uranio
impoverito ma applicabile a una casistica molto ampia - la
normativa speciale contenuta nel Nuovo Codice dell'Ordinamento
Militare evita di dover dare la prova, invero diabolica, del
nesso causale, essendo invece l'Amministrazione a potersi
esimere dal riconoscere lo status e i conseguenti benefici dando
la prova della riconducibilità della malattia a cause estranee
al servizio".
"Questa sentenza - commenta l'avvocato Andrea Bava,
Consulente della Associazione e patrocinatore della causa -
finalmente porrà fine alla disperata situazione di tante
famiglie, ritrovatesi a combattere contro lo Stato dopo che un
loro congiunto si è ammalato, spesso mortalmente, perché
incombeva sui malati tale gravosa prova. Questa sentenza giunge
a chiudere un cerchio, confermando una linea interpretativa che
negli anni si è sempre più sviluppata nella giurisprudenza di
merito, e che ora è confermata dalla Suprema Corte."
Al legale l'Associazione esprime il proprio ringraziamento
"perché le sue vittorie" "rappresentano l'affermazione dei
nostri diritti, quali invalidi e familiari di Vittime del
Dovere".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA