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Dieci anni fa in Emilia il terremoto che devastò la placida pianura

Il 20 maggio 2012 la prima scossa, ricostruzione quasi completata

Di Leonardo Nesti BOLOGNA

Per secoli la pianura emiliana aveva dovuto difendersi da guerre, invasioni, inondazioni, carestie, ma mai dalla furia distruttrice di un terremoto. In una placida notte di maggio di dieci anni fa, all'improvviso, tutto è cambiato: un nemico sconosciuto ha seminato morte e distruzione in una terra fertile e operosa.

    Sabato 20 maggio 2012 la bassa, quella terra incastonata tra il grande fiume e le città che si sono sviluppate fra la via Emilia, si era addormentata fra i profumi dispersi nell'aria dalla primavera ormai inoltrata, meritato riposo in vista di una domenica di sole. Alle 4.03 un terremoto di magnitudo 5.9 ha sconquassato la bassa emiliana, sconvolgendo centri fieri e produttivi come Mirandola, Medolla, Sant'Agostino, San Felice sul Panaro, fra Modena, Ferrara, Bologna e Reggio Emilia.

    La pianura di aria e sole, di sognatori, contadini, pittori, una terra dove il lavoro è quasi una religione civile tanto che produce il 2% circa del pil nazionale è rimasta attonita, anche perché fino a pochi anni fa non era considerata sismica, tanto che i capannoni industriali dei quali è disseminata erano stati costruiti, nel pieno rispetto delle norme, solo per resistere al vento.

    Girando per i paesi colpiti dal sisma si sentiva, in quei giorni, soprattutto una frase per commentare quello che era successo: "Che brutto lavoro". Il lavoro, da queste parti, è una cosa talmente seria e importante che una cosa disastrosa come il terremoto, era paragonata a ciò che di peggio possa venire in mente, ovvero "un brutto lavoro". Un lavoro fatto male, senza amore, senza impegno, senza attenzione.

    Il terremoto ha portato morte e macerie: 28 le vittime accertate, per crolli, malori e ferite. Ma si è anche innescato subdolo sotto la scorza orgogliosa della bassa emiliana. Ha giocato, infatti, anche con la voglia di ripresa di questa gente che dopo una settimana si era già rimessa in piedi. E nove giorni dopo, il 29 maggio, prima alle 9, poi verso l'una, è tornato a colpire con due scosse superiori ai 5 di magnitudo, meno intense di quella del 20, ma più distruttive, ancora più assassine.

    La seconda scossa colpì soprattutto il lavoro di questa terra fatta da distretti industriali che esportano quasi in ogni angolo del mondo prodotti d'eccellenza. Ovvero fatti con quel gusto, con quell'amore, con quella capacità, con quella atavica sapienza che fa sì che non possa esistere un altro luogo del mondo dove si possano fare allo stesso modo.

    Furono infatti gli operai a pagare il prezzo di sangue più alto: la Bbg di Mirandola, la Meta di San Felice sul Panaro, la Haemotronics di Medolla, diventarono simboli del dramma emiliano, di quel martedì mattina di quasi estate quando in tanti erano tornati al lavoro, proprio per rimediare ai danni della scossa di nove giorni prima, per ricominciare al più presto la produzione di eccellenze gastronomiche, del biomedicale, della meccanica, per non arrendersi alla potenza distruttiva della terra. E che videro i capannoni cader loro sulla testa.

    Le tendopoli, ormai già costruite in tutti i paesi della Bassa per accogliere chi aveva la casa danneggiata, hanno fatto sì che al bilancio disastroso di edifici, fabbriche, capannoni, luoghi storici e di culto, non si aggiungesse un numero più alto di vittime.
    Emergenza, solidarietà, ricostruzione sono diventate, per anni, quasi sinonimi. La scelta, guidata dall'allora commissario straordinario Vasco Errani in tandem con l'allora capo della protezione civile Franco Gabrielli, fu inedita: ovvero provare a fare del post-terremoto una fase meno straordinaria possibile.
    Affidando cioè ogni complicatissimo passaggio, ogni minimo problema, ogni confronto con un governo che all'epoca faceva dell'austerità la propria bandiera, alle istituzioni del territorio, a cominciare dai Comuni.

    A dieci anni dal sisma quella scommessa può dirsi vinta: la ricostruzione è praticamente completata (mancano ancora alcuni edifici storici e alcune chiese) ma non è stata certo una passeggiata: molte persone sono rimaste fuori casa per anni, i centri storici dei paesi hanno sofferto moltissimo, il tessuto economico ha subito dei gravi contraccolpi. Ma dalla ricostruzione sono nate anche nuove esperienze, sulla costruzione delle comunità, sullo sviluppo nel rispetto dell'ambiente e sulla lotta alle infiltrazioni della malavita organizzata, sempre pronta, in questi casi, a fare affari.

    Oggi, in occasione del decennale, sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a commemorare le vittime, ma anche a celebrare lo spirito, l'atteggiamento e la voglia di speranza della bassa emiliana. E soprattutto il suo insegnamento: non c'è dramma troppo grande dal quale non ci si possa riprendere. Per farlo non ci sono ricette segrete, non ci sono miracoli, non ci sono magie. C'è solo il lavoro. Da queste parti lo sanno bene, perché è sempre stato così. 

 

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