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Cantine Garrone i "custodi" della Val d'Ossola

Con la viticoltura messo freno a spopolamento in Alto Piemonte

(di Alessandra Moneti) ROMA

- C'è un territorio montano che sta vincendo sullo spopolamento. In Alto Piemonte, la Val d'Ossola è un microcosmo di confine dove Cantine Garrone, con 14 ettari e una produzione media di 50mila bottiglie, è l'azienda vinicola più grande della Valle.

La famiglia Garrone, originaria dell'Astigiano, si stabilisce a Domodossola nel 1921 dedicandosi fin da subito alla produzione e al commercio di vino. Negli anni '80 la viticoltura nella zona, anche a causa dello spopolamento delle campagne e della scarsità degli ettari, è relegata tuttavia al solo consumo familiare. Roberto e Mario Garrone hanno l'intuizione di acquistare uve dai piccoli viticoltori rimasti per aggiungerle a quelle di famiglia e garantirsi così una massa critica sufficiente per il mercato.

"In un contesto come quello ossolano, dove la tradizione vitivinicola è antichissima e dove i contadini hanno un legame molto forte con la propria terra, riuscire a farsi "cedere" le proprie uve non è operazione affatto scontata. Noi abbiamo tre ettari di proprietà, mentre le uve degli altri 11 ettari ci arrrivano da 60 microviticoltori distribuiti nei comuni di Trontano, Masera, Montecrestese, Crevoladossola e Domodossola, ed in particolare dalle sottozone più storiche quali Pello, Buscialun, Vignamaggiore, Cisore, Oira" ha precisato, in un incontro a Roma, l'enologo Matteo Garrone, la quarta generazione della famiglia insieme al fratello Marco.

La svolta arriva quando un decano dei viticoltori ossolani, l'allora novantenne Pierino De Gregori, sposa l'idea e vende le uve provenienti dal suo vigneto situato a Pello di Trontano: un gesto seguito da molti altri. Pello è una delle aree più vocate e con una tradizione secolare.
L'impulso di Pello ha portato i Garrone a credere di poter svolger e un ruolo di salvaguardia di questo patrimonio che altrimenti sarebbe andato perduto.

Le vigne storiche, che hanno in media 60 anni di età, con alcune piante ultracentenarie, sono allevate a "Toppia", una pergola tradizionale che segue l'inclinazione del terreno e preserva i germogli dalle gelate primaverili, ma che richiede un carico di lavoro umano molto elevato. "La pergola se gestita bene - ha sottolineato l'enologo - è fantastica, anche se necessita di 2000 ore lavoro, tutto viene fatto a mano, a fronte delle consuete 700 ore negli impianti a guyot. Ma poi la regione alpina si sente nel calice in vini puliti, equilibrati, che sposano l'innovazione nel tappo tecnico. E sperano nel via libera a trattamenti mirati coi droni, consentiti in Svizzera ma proibiti in Italia".

Oggi la produzione vitivinicola Ossolana in totale è salita a circa 45 ettari di vigna, Cantine Garrone insieme all'Associazione Produttori Agricoli Ossolani e all'Università di Torino, hanno intrapreso il progetto di recupero del materiale genetico del Prünent selezionando tre cloni di "Nebbiolo Ossolano" oggi riprodotti in vivaio. Un patrimonio storico e genetico che sarebbe andato perso e "ha frenato una decadenza che - a detta di Matteo Garrone - sembrava irrefrenabile, mentre invece gli ettari vitati sono in crescita. E il turismo consuma il 60% dei vini ossolani in loco, in abbinamento a pietanze tipiche a base di segale, formaggi, carne e selvaggina, con la Svizzera che continua a essere il più naturale mercato estero di sbocco". A Roma ben riuscito l'abbinamento coi piatti della giovane chef Cecilia Moro del 53 Untitled, new entry nelle segnalazioni Bib Gourmand della guida Michelin Italla 2023.

- (ANSA).

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